sabato 15 maggio 2010

MAROCCO IN BICI - PARTE 2

Inizio col dire che i marocchini sono gente simpatica e disponibile. Non ho incontrato nessuno che fosse scortese, o per nessuna ragione mi sono sentito anche solo per un attimo in pericolo. Per lo meno a volte ho reagito un po’ male, ma senza una reale ragione. Per esempio quando una notte mentre dormivo in una tenda berbera sulla riva di un lago a 2300m sento rumore di borse rovistate. Ci metto qualche secondo a riemergere dal mondo dei sogni, tutto agitato mi metto sui gomiti e dalla luce fioca dell’alba che entra da un lembo di tenda aperta vedo una sagoma oscura con le mani tra le nostre cose. Cazzo, lo sentivo. Incomincio a urlare come un forsennato in italo/siciliano poi nel caso che il sospetto bandito non capisse per sicurezza emetto dei versi come per scacciare un cane randagio, grrrrr brrrr pssssss, cerco di uscire dal il sacco a pelo che non si apre. Rimango intrappolato in questo baco di piume d’oca e sbatto come un pazzo cercando di sbloccare la cerniera. Tutto questo accade in pochi secondi, poi il ladro si gira verso di me e con tono incazzato dice

“ci vuoi solo tu, io è tutta la notte che entro ed esco per andare in bagno. Mi si è congelato il culo. Anzi sai dove sono i fazzolettini?”

Ora per rispetto della privacy non posso svelare l’identità dello sfortunato cacatore. Posso solo dire che io non posso essere, altrimenti dovrei soffrire di gravi attacchi di schizofrenia e che invece era uno dei miei compagni di viaggio.

Il cacarello. Il nostro nemico. Poi questa barbara usanza berbera di mangiare tutti insieme con le mani senza le posate dallo stesso piatto. Un party di batteri. Già se sei in vacanza e ti becchi la cacarella del viaggiatore è un problema. Immagina quando ti devi alzare e pedalare per tutto il giorno. Poi se ti sforzi potresti rischiare di brutto. Uno di noi, potrei essere anche io, ma anche qui nascondo l’identità ed altero la voce, tipo quelle delle confessioni dei programmi di cronaca dove i protagonisti hanno il viso pixellato e la voce da trans. Insomma dicevo, il trans pixellato in questione mentre é sotto lo sforzo di una bella salita si ferma e confessa, ragazzi se le scorregge non pesano mi sono cacato addosso. Mi viene da ridere, ma non ne ho la forza. Non è grave, tipo se è solo una sgommatina marrone anzi può essere utile per individuare subito il verso dei pantaloncini. Se è tanta invece sei nella merda. Cose che capitano dico. O mi dicono.

Ritorno sul pullman della speranza, quuello che ci riporterà a Marrakech. Tira una brutta aria dentro. Poi quando il taxi ci ha stirato quel poveretto davanti agli occhi dovevo subito capire che c’era qualcosa che non andava. Anzi ancora prima quando appena partiti un tizio con un cappello da baseball incomincia a distribuire dei sacchetti di plastica. Brutto presentimento. Le cose si metteranno male. Molto male.

Manco a dirlo incomincia la salita verso il passo a 2600m. Probabilmente gli abitanti dei paesi non sono abituati ad andare in macchina. Loro usano il 4x4 berbero. Il mulo.

Dopo neanche mezzora parte il primo. Bluuuuueeeaaaauuu. Puzza di vomito. È quella la cosa più terribile. Mi giro e scoppio a ridere, il vomitatore é proprio dietro Faranda e praticamente gli sta quasi vomitando in testa. Dopo pochi minuti incominciano a vomitare tutti. Una sinfonia. Non so nemmeno io come sono riuscito a resistere.

Ora dovrei parlare di pedalate e invece mi ritrovo a scrivere di chifezze varie. Mi riprendo raccontando di uno dei posti più belli di tutto il percorso. La valle delle Rose. Onestamente dato il nome mi aspettavo di pedalare in mezzo ai roseti tipo quelli della sigla di Lady Oscar, invece non ho visto nemmeno un fiore. Però bello.


La giornata parte con 30km di asfalto in leggera discesa che già è un godimento, una volta arrivati nella gola del Dades mi infilo in una strada stretta con delle pareti di roccia altissime, poi secondo le indicazioni della gente del villaggio andiamo alla ricerca di questo bellissimo tratto completamente remoto. Chiediamo ad un bar, un indicazione tipo è questa.

Giri la curva (quale curva?)

Poi appena arrivi al villaggio prendi la stradina stretta che sale (quale stradina stretta? Tutte le stradine sono strette e salgono)

Prima di uscire da villaggio guarda la montagna a destra in alto vedrai il sentiero (dove inizia e finisce un villaggio non l’ho mai capito, poi per avvistare il sentiero sul bordo della montagna dovrei essere come minimo un aquila)

Insomma, sembra strano, ma trovo il sentiero che si srotola dentro una specie di valle che una volta doveva essere stata piena di rose. Bello, una terra rossa sabbiosa dalla quale spuntano improvvisamente delle simpatiche rocce appuntite ottime per forare le gomme.

Arriviamo ad un villaggio, ci fermiamo davanti a una casa che sembra un bar, il proprietario ci accoglie, quasi ci spinge dentro e ci offre un te. Parla bene tutte le lingue meno l’italiano, comunichiamo in un frullato di spagnolo e francese con spruzzate di inglese. L’amico ci invita a rimanere, ci dice che per 400 dirahm ci fa dormire, mangiare, ci fa da guida per andare sulla montagna e ci procura anche delle signorine per farci compagnia. Ringraziamo, ma purtroppamente dobbiamo continuare, magari un giorno ritorniamo.

Il viaggio in bici ti avvicina e ti allontana dalle persone con una velocità impressionante. Incontri di pochi minuti. Scambi di sorrisi e per i più telematica anche di email.

E sempre la promessa e la voglia di ritornare.

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